Punto di svolta epocale per la filiera Idm-Gdo in presenza di un’inflazione che ha eroso il reddito, la scomparsa della classe media e volumi in frenata. La necessità di rinsaldare la partnership all’interno della filiera del largo consumo è il monito emerso durante la 34ª edizione degli Incontri Idm-Gdo organizzata da Centromarca che ha visto la partecipazione di 510 manager e circa 230 collegati in streaming. Il titolo stesso dell’incontro, “Costruire adesso il nostro futuro in un contesto instabile”, ha posto interrogativi strategici la cui risposta non è affatto scontata, segnalando che il passato non è più sufficiente per delineare le strategie future.
Nel suo discorso di apertura, il Presidente di Centromarca Francesco Mutti ha delineato un quadro macroeconomico estremamente sfidante.
Dopo un lungo periodo di stabilità, la filiera del largo consumo si trova oggi a operare in uno scenario in cui variabili economiche, geopolitiche, ambientali e sociali generano pressioni inedite su costi, approvvigionamenti e comportamenti d’acquisto. Mutti ha sottolineato come le tensioni geopolitiche e la politica dei dazi, in particolare quella statunitense, stiano rallentando la crescita globale. L’Italia, insieme alla Germania, è tra i Paesi europei più esposti agli Stati Uniti, con esportazioni pari a circa 65 miliardi di euro. Un dazio del 15% sui beni di largo consumo potrebbe ridurre di quasi l’8% il valore delle nostre esportazioni. A ciò si aggiungono i cambiamenti climatici e gli eventi estremi che alimentano una forte volatilità dei prezzi delle materie prime, portando a nuovi rialzi nel primo semestre del 2025 per prodotti chiave come cacao e caffè, ma anche latte, oli vegetali, carne, mais, zucchero e grano.
È cruciale notare, ha ammonito Mutti, che le riserve di cibo nel mondo si stanno contraendo, con un calo degli stock tra il 10% e il 35% dal 2019 a oggi. “In un contesto di questo tipo – esorta Mutti – dovrebbe essere evidente che occorre analizzare le aree di inefficienza da un lato – e mi riferisco in modo particolare alla logistica, agli assortimenti, alle promozioni – e alle aree di opportunità dall’altro dove una buona innovazione può senz’altro contribuire allo sviluppo di nuovi segmenti di consumo. Tutto questo però non può essere fatto individualmente e separatamente, ma necessita un modo di lavorare congiunto, a 4 mani, mettendo a disposizione gli uni degli altri tutte le informazioni possibili sugli shopper e sui consumatori che sono l’unico vero obiettivo di entrambe per portare crescita a questo mercato”.
L’INFLAZIONE ERODE REDDITO E FIDUCIA
A proposito di mercato, l’analisi presentata da Enzo Frasio, Amministratore delegato NIQ conferma un contesto complesso e ambivalente. In termini di valore, il trend per i beni di largo consumo è positivo e si prevede una crescita in linea con il Pil (+2,6% nel 2025). Tuttavia, il dato più preoccupante riguarda l’impatto sui consumatori: rispetto al 2019, oggi gli italiani pagano il 22% in più per lo stesso bene. Questa inflazione ha eroso il reddito disponibile e la fiducia dei consumatori è rimasta su livelli bassi. NIQ ha identificato diversi “segnali deboli”: una lieve ripresa dell’inflazione (che in Italia segue Paesi europei come Germania, Francia e UK) e un rallentamento dei volumi negli ultimi mesi (luglio-settembre), che si verifica in concomitanza con il persistere dell’inflazione. Anche canali tradizionalmente positivi, come i discount e i drugstore, stanno registrando tendenze meno performanti. Di fronte a questo scenario, l’obiettivo primario per l’intera filiera è la ripresa e la protezione dei volumi. L’innovazione è considerata la leva più importante per una crescita sostenibile. Tuttavia, il contributo dell’innovazione alla crescita del mercato in Italia è più basso rispetto a Germania, Spagna e Uk. Per riportare equilibrio, l’industria di marca deve distinguersi con innovazione “vera”, in logica win win, intercettando i nuovi bisogni (da evidenziare le performance particolarmente positive di freschissimi, frutta esotica, semi e preparati per pizza e pinsa), mentre la Gdo deve garantire velocità di inserimento a scaffale e visibilità.
LA FRATTURA SOCIALE E LA FINE DELLA CLASSE MEDIA
L’intervento di Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, ha esortato l’industria a un ripensamento strategico radicale, partendo dalla constatazione che “tutto cambia”. L’analisi di Noci ha messo in luce una profonda frattura sociale: non esiste più la classe media. In Italia, in particolare, i salari a parità di potere d’acquisto sono calati del 3% negli ultimi 30 anni, rendendo il nostro Paese l’unico tra quelli Ocse con questa tendenza negativa. Questa polarizzazione impone scelte di posizionamento estremamente nette. Le aziende non possono più permettersi posizioni “medie” o ambigue; devono orientarsi in modo ossessivo al costo (lavorando su ogni componente, dalla materia prima alla promozione) o in modo ossessivo alla qualità e all’alto di gamma. Per l’industria di marca italiana, l’unica possibilità di crescita all’estero, specialmente in mercati asiatici in forte espansione (dove si dovrebbe focalizzare l’export, invece di considerare gli Stati Uniti come unica bussola), è puntare proprio sulla fascia premium. Noci ha definito i dazi americani come un’”arma di distrazione di massa” che distoglie l’attenzione dal vero imperativo, ancora una volta innovazione e cambiamento.